Breve Storia del Ritratto Fotografico
Paquio Proculo il fornaio



Il Ritratto


I


Il bisogno di proiettare le proprie forme sulla natura e di raffigurare se stessi, è antichissimo. Gli uomini già in epoca preistorica collezionavano sassi somiglianti a facce di uomini o di animali, rafforzandone con scalpelli di pietra i punti di somiglianza, o dipingendo sulle pareti delle caverne semplici ma possenti immagini antropomorfe. Così come i neonati trovano nelle macchie che compongono il viso materno una forma rassicurante e il primo stimolo alla comunicazione visiva imitandone e il sorriso. Perciò quando si affronta il tema del ritratto bisogna essere coscienti delle radici profondissime che questa forma di rappresentazione ha gettato nella psiche, nella cultura, nella storia dell'uomo. Tramandare ai posteri la propria immagine è un modo per conservare dei legami con il mondo anche dopo la morte. I nostri album di famiglia non sono che il sostituto moderno di un rituale antichissimo. La famiglia vi si rispecchia nella sua ramificazione e nei suoi momenti cruciali: nascite, morti, matrimoni, viaggi, feste.


II



Per quanto possa sembrare strano, gli inizi della storia del ritratto fotografico coincidono con la nascita della fotografia. Infatti la prima fotografia riuscita fu scattata da Nicéphore Niépce nel 1826, mentre il ritratto più antico che sia sopravvissuto fino ai nostri tempi e quello della sorella di J.W. Draper, da lui fatto nel giugno del 1840. Si può ben immaginare che, non appena inventata la fotografia, il primo istinto fosse appunto quello di applicarla al ritratto, ma non fu possibile. Le prime fotografie, a causa di limitazione tecniche,necessitavano di tempi di posta molto lunghi, 20-30 minuti circa. Troppo per un ritratto, il modello non poteva stare immobile tanto a lungo. Così quando l'evoluzione dei processi chimici ottici consentì di diminuire i tempi di posa, si eseguirono i primi ritratti. Quello, famosissimo di Dorothy Dra- per, richiese 65 sec. durante i quali il soggetto ha dovuto conservare la completa immobilità. Questi primi ritratti fotografici furono eseguiti con una tecnica molto costosa e complicata, il dagherrotipo, che produceva un'immagine su lastra di metallo, fermandola in un esemplare unico, cioè irriproducibile. Unicità che rendeva il dagherrotipo prezioso come le opere d'arte eseguite con tecniche più tradizionali. La nitidezza, la levigatezza, la lucentezza di questa immagine, la necessità per essere viste di trovare la giusta inclinazione di luce, producevano presso il pubblico la sensazione di essere osservati dalla persona ritratta che, magicamente rimpicciolita nella lastra, pareva proseguirvi una esistenza in miniatura. La grande bellezza di queste immagini dipese anche dal rapporto che i soggetti stabilirono con la fotografia, un rapporto unico e irripetibile, poiché quelle persone, le prime a venir riprodotte, entravano del tutto vergini nel campo della visuale fotografica. I giornali erano oggetti di lusso, che non potevano venire corredati di fotografie, il procedimento fotografico non era ancora diventato un loro strumento. Il volto umano era circondato da una sacralità, da un rispetto che trasparivano con vigore da questi volti impegnati a offrire di sé immagini pieni di dignità unite a una certa timidezza. Octavius Hill, uno dei migliori dagherrotipisti dell'epoca nonché noto ritrattista, usava le fotografie come supporto per eseguire le proprie tele. Egli aveva impiantato il proprio laboratorio in un cimitero, poiché gli necessitavano la luce che solo in esterni si può avere e la tranquillità, per non disturbare i soggetti durante la lunga esposizione. Il procedimento stesso riduceva i modelli a non vivere proiettandosi fuori di quell'attimo bensì a sprofondare nel suo interno; nel corso della lunga durata della posa, essi crescevano insieme e dentro l'immagine, il che è in netto contrasto con l'istantanea, la quale corrisponde a quel diverso mondo in cui da quella frazione di secondo in cui dura l'esposizione dipenderà se uno sportivo potrà diventare tanto famoso da venir ripreso dai fotografi per incarico dei settimanali illustrati. «Tutto, in quelle lontane foto, era predisposto perché durasse; non soltanto quei gruppi incomparabili in cui le persone si raccoglievano e la cui scomparsa è certamente uno dei sintomi più puntuali di ciò che è avvenuto nella società nella seconda metà del secolo ma perfino le pieghe di un vestito, in quelle immagini, tengono a lungo» (Walter Benjamin - breve storia della fotografia ). La continua evoluzione tecnica permise in breve tempo di passare dalla unicità dell'esemplare, al procedimento positivo, che consentì di ricavare da un negativo su lastra un numero molto alto di positivi su carta, poco costosi e di esecuzione relativamente facile. Ciò determinò una nuova fase nella storia, non solo della fotografia, ma delle arti visive in genere. Il ritratto, prima genere estremamente costoso, che richiedeva molta abilità, riservato a pochi, ora era alla portata di tutti.


continua

Dorothy Draper
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